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Al contrario di quanto si pensa comunemente, il gusto è un “parente povero” della famiglia dei sensi. A lungo si è ritenuto che i sapori fondamentali fossero solo quattro: dolce, salato, acido, amaro. Oggi ne sono proposti alcuni altri: l’umami, l’alcalino, il metallico…e si tende a tenere conto della presenza dei gusti intermedi. Poi ci sono anche sensazioni di tipo tattile e termico, ma il “gusto” complesso che avvertiamo in bocca quando mastichiamo un cibo o assaporiamo e ingeriamo è, in realtà, il prodotto di sensazioni olfattive, sia dirette sia per via retronasale. Possiamo, perciò, dire che un vino “sa” di vaniglia o di liquirizia o di cannella soltanto grazie all’intervento del naso. Qual è allora il ruolo del gusto nell’analisi organolettica? Esso individuerà i sapori fondamentali e il loro equilibrio, le sensazioni termiche e tattili avvertite nella cavità orale, le sensazioni olfattive retronasali che percepiamo quando il vino o il cibo sono in bocca. Dunque, il lavoro del gusto è un lavoro di sintesi e di valutazione di un equilibrio complessivo.

Nel vino, i sapori dolci, acidi (e in misura minore amari e salati) sono mescolati: anzi, la qualità di un vino sta proprio nell’equilibrio armonico delle componenti. Il degustatore dovrà perciò cercare di distinguerli e, al tempo stesso, valutarne il rapporto. La fisiologia ci viene in aiuto: è infatti dimostrato sperimentalmente che i sapori fondamentali si percepiscono in tempi diversi, minimi certo, ma avvertibili con un pò di attenzione e allenamento.

Oltre ai sapori in senso stretto, la bocca, attraverso le mucose, avverte sensazioni di tipo tattile. Quelle che possono essere provocate dal vino sono:

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